(biografia tratta tratta da San Gabriele dell’Addolorata , Pierino Di Eugenio , ED. San Paolo, 1997)
Gli studi sono praticamente completati. Nel maggio 1861 Gabriele si reca alla sede vescovile di Penne, Pescara, per ricevere i ministeri ed entrare ufficialmente nella gerarchia ecclesiastica. Il viaggio disastroso evidenzia lo stato precario della sua salute.
E’ già pronto per essere ordinato sacerdote e dire messa, ma i tempi calamitosi invitano alla prudenza. Non se ne duole, lo sappiamo che non si duole mai di niente.
<< Così vuole dio, così voglio anch’io >>.
Gabriele del resto è ormai maturo per l’ultimo viaggio. Alla fine dell’anno è pallido e dimagrito, aggredito da febbri e difficoltà di respiro con tosse e dolori al petto. Si riacutizza anche l’atavico mal di testa.
La diagnosi è spietata. Inutile esorcizzare l’argomento con circonlocuzioni, come si usa oggi che per non dire cancro parliamo di brutto male, quasi esistessero mali non brutti. Si tratta di tisi, l’inesorabile morbo del secolo. Gabriele comprende che morirà presto, giovane e tubercolotico, proprio come ha desiderato fin dal noviziato.
Ettore Petrolini se ne andò imprecando: << Morire a cinquant’ anni è una vergogna >>. Gabriele, invece, che ne ha meno di ventiquattro, reagisce con gioia, una gioia dirompente che sbalordisce anche i più navigati religiosi.
Al direttore che lo esorta a pregare per la guarigione replica supplicando: << Mi lasci piuttosto domandare al Signore una buona e santa morte >>.
Che volete farci. Per lui morire è una festa. Ecco allora che la mattina del 27 febbraio 1862, al sorgere del sole, egli celebra il rito del suo transito. Circondato dai confratelli della comunità, stringe forte al cuore l’immagine del Crocifisso con l’Addolorata e implora: << Maria, mamma mia, fa presto >>.
Si assopisce. Poi all’improvviso si rianima, volto trasognato e occhi sfavillanti che trafiggono un punto fisso in alto sulla parete sinistra. Così, senza agonia, sorride alla Madonna che viene a incontrarlo.
Fine della corsa. E’ la fine di tutto ? E’ invece un nuovo inizio.